sabato 23 giugno 2012

ORA ET LABORA

riportiamo qui di seguito il canovaccio su cui prenderà vita il seminario del 26 luglio. invitiamo tutti a contribuire, suggerire proposte, preparare interventi. l più presto pubblicheremo la dispensa relativa al tema. grazie  


Quando il verbo si fa merce


Un tempo distanti e antitetici, oggi vicini e indiscernibili: processo produttivo e agire comunicativo si intrecciano. È questo l’aspetto inedito che distingue il lavoro nell’epoca contemporanea portando a una nuova forma di produzione che trasforma quella di tipo fordista.
Il post-fordismo non sostituisce completamente il modello taylorista, tuttavia rappresenta un momento epocale dello sviluppo della produzione capitalistica in quanto è capace di mobilitare e mettere al lavoro quella gamma di competenze cognitive e relazionali prima espunta dall’attività lavorativa. Oggi, la molla del profitto non risiede più solo nella forza-lavoro muta e manuale, ma nel linguaggio, come abilità storico-naturale propriamente umana. Scrive Christian Marazzi, economista con la passione per la filosofia, in un saggio dedicato alla svolta linguistica dell’economia e intitolato Il posto dei calzini: «Decisivo è capire che alla base della trasformazione radicale del modo di produzione post-fordista si trova la sovrapposizione di produzione e comunicazione, di agire strumentale e agire comunicativo».
Il profilo del lavoratore post-fordista è quello di un generico animale linguistico e sociale, polioperativo, capace di gestire flussi di informazioni e di adattarsi a situazioni in continuo mutamento. Il profondo cambiamento che mette in atto tale modello non interessa la sfera della produzione immateriale ma il metodo produttivo dominante nelle economie avanzate che crea merci tangibili. Ciò che già Adorno e Horkeimer avevano definito “industria culturale” rappresenta un aspetto ulteriore della dialettica che il capitale intesse con la dimensione del linguaggio, questa volta in quanto produzione simbolica.

In quest’ottica, riteniamo importante analizzare i modi con cui oggi il lavoro è rappresentato, al fine di cogliere come viene compresa, considerata e scambiata la vita umana. Ribaltando quindi i termini della questione ci si chiede in che modo il linguaggio, inteso adesso come luogo di produzione storico-culturale del significato, simbolizzi l’universo del lavoro e la sua continua mutazione.
La problematica del lavoro, delle sue forme e delle sue evoluzioni, attraversa i luoghi del discorso contemporaneo secondo mappe che la riflessione filosofica tenta di ricostruire. Questa ricostruzione appare difficilissima se non si fa appello anche ad altre modalità di sguardo che accolgono come strutturale la componente immaginativo-linguistica. Ci riferiamo in particolare al cinema, alla letteratura, ai media, e in generale a tutte quelle superfici di emergenza in cui si manifesta la lotta per il controllo dell’immaginario, producendo poteri ma anche resistenze.
Discutere il problema della rappresentazione del lavoro nell’immaginario economico, sociale e culturale significa andare a toccare direttamente il nodo foucaultiano “verità/potere” alla luce della critica marxiana secondo cui la matrice dei rapporti tra gli uomini risiede nelle forme di produzione dell’economia capitalistica. Chiedersi come viene rappresentato il lavoro significa anche chiedersi come ci rappresenta il capitale, interrogandoci sugli orizzonti che vengono negati, su come ciò avviene, su quali conseguenze questo comporta. Infine, se la verità esclusa dal discorso del capitale è il peso corporeo dell’esistenza, la fatica e la concretezza, come si riposizionano la comunicazione e l’immaginazione dal momento che sono divenuti elementi costitutivi del processo produttivo? Dove si posiziona l’intellettuale, sia esso artista o filosofo, in tutto questo, e come agisce?

Alessandra Mallamo Angelo Nizza


Riferimenti bibliografici:
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Nancy J. L., 1995, La comunità inoperosa, Napoli, Cronopio.
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Virno P., 2002, Grammatica della moltitudine, DeriveApprodi, Roma.
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