domenica 19 maggio 2013

Lincoln, le parole e la guerra

Se c'è una cosa che spesso viene dimenticata in ciò che concerne il concetto di politica è quel tratto machiavelliano che la caratterizza nella sua pratica e nella sua concretezza; la sua interconnessione con il potere è spesso considerata come un fatto deteriore e infimo, una fastidiosa conseguenza dovuta alla contingenza delle cose che offusca la visione purista del "modello" ideale da perseguire.
Tuttavia c'è nell'essenza della politica un elemento fondativo che anche la tradizione filosofica pensa con difficoltà (credo avvenga il contrario solo in alcuni passaggi chiave del pensiero marxiano) ed è suo essere essenzialmente conflitto, scontro per la sopravvivenza (dei singoli o dell'umanità), affermazione di un potere.

"Lincoln" mostra come i lati mortiferi e vitali di questo conflitto costitutivo siano tra loro intimamente legati: la parola e la guerra che stanno al centro della scena determinano, allo stesso tempo, la vita e la morte delle genti, la loro libertà e la loro disumanità. Se non si comprende questo legame non si può cogliere il procedere dell'ultimo film di Spielberg.




All'inizio è verboso, pieno di spiegazioni e didascalie, ma questa fase è necessaria a cogliere non solo la complessità della situazione, quanto la centralità stessa del linguaggio nelle vicende umane; tutta la prima parte, perciò, è propedeutica alla seconda, ci permette di appassionarci alle parole, alle strategie e alle sottigliezze del ragionamento che caratterizzano l'agone politico su cui ruota l'intera vicenda.
Intanto la guerra continua: lo scontro tra corpi di giovani ragazzi fatti a pezzi materializza la violenza delle parole che, come "schiavo" o "razza", sventrano la dignità umana.
L'operazione lungimirante del Lincoln messo in scena da Spielberg consiste proprio nel separare le parole e la guerra (è lo stesso intento di Mandela nel film di Eastwood, quando cerca di riportare il conflitto sul piano della legge attraverso lo sport).
Le parole e la guerra diventano, con l'approvazione dell'emendamento contro la schiavitù, retrospettivamente dunque, due cose diverse: nella loro differenza sta il confine tra l'umanità e la disumanità. Questa separazione, però, non avviene nella forma di una contrapposizione, tra una legge che estromette lo scontro e una guerra senza regole, ma nella consapevolezza che lo scontro non può essere estinto dalle vicende umane, nel mantenimento di quel lato oscuro come luogo di continua generazione e di crescita.
L'aula del parlamento si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia, si tenta in tutti i modi di ottenere il voto decisivo, di far cadere l'avversario su una parola, di prendere tempo o di andare contro il tempo. Lo scontro è appassionante, e tutto si raccoglie nel modo di dire o non dire una determinata cosa, in un incontro mancato, in una parola rimangiata, le frasi diventano un campo minato in cui è in gioco la vita di milioni di individui.
La cifra politica del film è in questo riverbero continuo tra guerra e linguaggio: proprio quando sembra non dar peso alla differenza tra la morte e la legge, lasciando attoniti gli interlocutori accorati e disperati che gli chiedono di far cessare al più presto i combattimenti, Lincoln fa una scelta basata sulla giustizia, poiché, aprendo a coloro che erano estromessi dallo spazio sociale, gli schiavi neri americani, permette alla differenza stessa e al conflitto di installarsi nel cuore della politica e segnare così il divario tra la morte e la legge. L'azione scenica incentrata sul preciso scorrere del tempo storico sovrappone lo spazio dell'assemblea, quello della guerra e quello delle strategie, è in questa mossa che il regista coglie l'intima verità della comunità umana come comunità politica, che è polemos e polis allo stesso tempo.
Nel film la politica diventa lo spazio di discussione e di negoziazione dei significati, il luogo in cui, allo stesso tempo, si mette in critica e si pratica il potere. Con spirito vicino a quello greco - e uno spirito greco caratterizza Lincoln, che legge Euclide e sviluppa ragionamenti simili a quelli socratici - la politica appare come il luogo della formazione umana per eccellenza poiché può essere anche il luogo del suo disfacimento.
La legge è quindi il campo di battaglia e non fa meno morti di una guerra, il linguaggio è la sua arma, ma alla nuda forza tenta di sostituire una forma di forza che è immediatamente forma di vita, la giustizia e la giustezza delle parole, all'annientamento del nemico sostituisce il suo riconoscimento.
Alla fine il film di Spielberg svela la natura perigliosa della logica e l'animale politico come trickster capace di ricreare il mondo, Il fascino della sfida tra gli individui, le genti o le classi, da cui procede l'umanità e la Storia. Dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva (Holderlïn).

Trama
Il film drammatico analizza gli ultimi tumultuosi mesi in carica del sedicesimo presidente degli Stati Uniti. In una nazione divisa dalla guerra e spazzata dai venti del cambiamento, Lincoln osserva una linea di condotta che mira a porre fine alla guerra, unire il paese e abolire la schiavitù. Avendo il coraggio morale ed essendo fieramente determinato ad avere successo, le scelte che compirà in questo momento critico cambieranno il destino delle generazioni future.

ALESSANDRA MALLAMO

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